Hai mai sentito parlare di burnout? È quella condizione psicologica che si verifica quando, in situazioni prolungate di stress dovute a pressioni lavorative, il cervello smette di funzionare come dovrebbe, causandoti crisi nervose, problemi psicologici (sia lievi che gravi) e compromette inevitabilmente la tua produttività e la tua vita privata.
In questo periodo di Smart Working forzato, tantissimi professionisti, insegnanti e dipendenti stanno soffrendo di questa sindrome di esaurimento emotivo. Sì, perché l’essere costantemente connessi, reperibili e senza “scuse” da poter fornire (della serie “guarda, non sono in ufficio, ne riparliamo lunedì“) ha, di fatti, annullato la differenza tra orario lavorativo e orario di riposo, tra giorno e notte, tra weekend, festivi e settimana.
Cos’è il burnout?
Senza andare nei tecnicismi, non sono uno psicologo, il burnout si identifica secondo questi punti:
1. deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro;
tratto da Wikipedia
2. deterioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro;
3. un problema di adattamento tra la persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest’ultimo.
Il burnout comporta un vero e proprio esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso cinico e senso di frustrazione per la mancanza di realizzazione professionale.
Questo porta ad odiare quello che si sta facendo e ad allontanare, spesso, le persone che ci stanno vicino. Porta all’insonnia, ad irritabilità, abuso di alcool e sostanze psicoattive e, infine, alla depressione.
Siamo sempre reperibili
Da quando è iniziata la quarantena, ho visto, personalmente, impennarsi i messaggi e le richieste di lavoro in orari NON d’ufficio. Alle 20.30, alle 23.00, alle 3 di notte. Ho ricevuto richieste di elaborazioni grafiche “urgenti” alle undici di sera di domenica, perché andava pubblicata inesorabilmente la mattina alle 9.00. Ovviamente ho rimandato tutto al giorno dopo, ma inevitabilmente ha compromesso il mio momento di relax prima di andare a dormire. Ho dormito male, il giorno dopo ero distratto e poco produttivo.
So di insegnanti costretti a lavorare 24h per garantire efficienza. So di impiegati tartassati dai loro capi in pausa pranzo, mentre stanno vedendo un film la sera o mentre degustano il pranzo del giorno di Pasqua.
È urgente, è tutto urgente. Ma in realtà, a meno che non si tratti di salute, non c’è nulla che non possa essere posticipato di un paio d’ore o di qualche giorno.
Essere sempre reperibili è un problema. Quando ero piccolo, mi hanno insegnato di chiamare sempre in orari lavorativi, mai durante la pausa pranzo e mai dopo le 19, perché sono orari in cui la gente ha il sacrosanto diritto di riposarsi.
È una buona prassi che continuo a mantenere.
I messaggi e l’illusione della lettura posticipata
Soprattutto i messaggi su Whatsapp, secondo alcuni studi, sono tra i principali responsabili del burnout lavorativo. Sebbene sia una comunicazione “lenta” e, sulla carta, comoda, le spunte blu, le notifiche, il led del cellulare che pulsa, creano ansia da lettura. Hai paura di ricevere qualche messaggio che ti turbi, ragion per cui se non lo leggi resti col dubbio, se lo leggi e avevi ragione sei fregato.
Leggendo il messaggio in un momento di relax, porto a galla tutti i pensieri legati al lavoro che, con fatica, avevo accantonato per godermi il meritato riposo. Dunque, nella mia mente, si innescano una serie di processi che mi faranno stancare, peggioreranno il mio sonno e, di conseguenza, mi avviano verso il burnout (che, ripeto, è una vera e propria patologia, come scritto su Wikipedia).
Il diritto alla disconnessione
Da quando le tecnologie di comunicazione sono diventate evolute e interconnesse, c’è stato un gran da fare per tutelare la salute psichica dei lavoratori che ne fanno uso. Ogg.i come oggi, infatti, siamo costantemente sovraesposti a notizie di qualsiasi genere, a messaggi, email, notifiche, telefonate, videochiamate e via dicendo. Tutto questo è una roba fantastica, migliorano non poco il nostro lavoro (personalmente sono molto più efficiente quando i miei clienti usano tutti questi sistemi), ma una sovraesposizione può diventare un problema.
Tutto ciò ha portato il mondo a rivendicare il diritto alla disconnessione, ovvero a quella necessità di staccare la spina dal proprio lavoro durante il tempo libero. Significa che il lavoratore digitale ha diritto all’irreperibilità.
Sembra scontato, ma ti garantisco che clienti, datori di lavoro e colleghi, spesso, sottovalutano questo diritto, forzando le cose con le scuse più banali e, talvolta, minacciandoti di abbandonarti o licenziarti, di non essere professionale, di non essere abbastanza grato di fare quel che fai.
In Italia, la normativa vigente, non è forte come quella francese o finlandese. L’unico riferimento è legato allo smart working o lavoro agile:
[…]nel rispetto degli obiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro autorizzate dal medico del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi
Legge 2017 sul lavoro agile
Però la cosa è chiara: nell’orario di lavoro bisogna essere prontamente reperibili. Finiti gli orari di lavoro ognuno fa quello che vuole e può, anzi deve disconnettersi.
Alcuni consigli utili
Se sei un professionista: ti consiglio di utilizzare due numeri di telefono, uno per lavoro e uno privato, oppure delle applicazioni specifiche per bloccare la ricezione di messaggi, chiamate e notifiche da mail e Whatsapp in determinati giorni e orari (su Android puoi provare AppBlock, io la uso e funziona egregiamente).
Inoltre, visto il momento, ordina le richieste dei tuoi clienti per priorità, imposta un calendario e imponiti affinché questi venga rispettato. Se un cliente, seppur il tuo migliore cliente, ti chiede di fare una cosa ORA E SUBITO e tu stai lavorando ad un’altra cosa nella quale sei immerso, al diavolo il multi-tasking: tranne che non si tratti di una cosa di oggettiva vitale importanza (e a meno che tu non sia un medico nel 99% dei casi non lo è), quel cliente dovrà aspettare il suo turno. E il turno lo decidi tu.
Se sei un lavoratore dipendente spegni il telefono, ne hai il diritto e, se proprio devi lavorare, dovranno pagarti gli straordinari, così come se ti chiedessero di restare in azienda per qualche ora in più.
Se sei un capo o un cliente che ha bisogno di comunicare col dipendente o con un professionista, cerca di dar peso all’orario in cui chiami o scrivi, cerca di dar peso al fatto che di fronte, seppur virtualmente, c’è una persona o un professionista che ha una sua vita, i suoi hobby, i suoi bisogni e, soprattutto, i suoi tempi. Tienine conto, rispetta i suoi orari e le sue tempistiche. Avrai un collaboratore più felice e produttivo e farà solo del bene al tuo progetto.
Ultime considerazioni
Quando si lavora in genere, ma si nota di più con lo Smart Working, bisogna imparare a gestire le priorità e a non essere accondiscendenti. Lo so per esperienza, visto che lavoro da casa 365 giorni l’anno da circa dodici anni, e ne ho viste di cotte e di crude. Ogni cliente, ogni datore di lavoro avrà le sue ragioni, ma tu hai le tue e la tua salute mentale vale più di ogni centesimo, vale più di ogni altra ragione.
Se senti di essere vicino al burnout, corri ai ripari: ne uscirai più forte.
Garantito.